Co. Cri., «suicidato» dalla mafia. 49 anni dopo la morte del giovane cronista siciliano è ancora una pagina senza giustizia
Gli atti processuali parlano di suicidio. La storia di Cosimo
Cristina invece è quella di un giornalista attento, scrupoloso e
coraggioso, ucciso dalla mafia in una Sicilia immobile e silenziosa.
Cronista e corrispondente di numerosi quotidiani come L’Ora, ma anche testate nazionali come Il Giorno di Milano, l’agenzia Ansa, Il Messaggero di Roma e Il Gazzettino
di Venezia, Cristina muore il 5 maggio del 1960 a soli 24 anni. Il suo
corpo viene trovato dilaniato con il cranio sfondato sui binari
ferroviari di Terme Imerese, a pochi kilometri dal capoluogo siciliano.
Dopo i primi anni da corrispondente nel 1959 Cosimo Cristina insieme
a Giovanni Cappuzzo fonda un settimanale di approfondimento “Prospettive Siciliane”
. Da subito la testata comincia a pubblicare denunce, inchieste,
scavando dietro la realtà, indagando su omicidi e fatti di mafia
facendo nomi e cognomi “importanti” già all'epoca. Le minacce e
intimidazioni arrivate in quegli anni non fermarono mai lo spirito
di giustizia e lo slancio politico con cui Cristina si occupò come
corrispondente e come direttore di raccontare la Sicilia che aveva
sotto gli occhi. Erano anni quelli in cui Cosa nostra stava cambiando
volto, dalle campagne si stava dirigendo in città, dai latifondi stava
allargando i propri tentacoli verso altri settori dell’economia. Cosimo
Cristina aveva colto i segnali di questo cambiamento e aveva intenzione
di raccontarli prima che fosse troppo tardi.
Così da subito Prospettive Siciliane raccontò la mafia in
anni in cui nessuno osava nemmeno nominarla. Non era ancora stata
istituita la prima Commissione parlamentare antimafia del dopoguerra
quando il giornalista Cosimo Cristina scriveva di quel sistema di
poteri, collusioni, privilegi che governava l’isola e le
città sovrastate dalle Madonie. Lo faceva con il piglio
dell’intellettuale, lo slancio che hanno i giovani sotto i trent'anni e
la professionalità di un giornalista d’esperienza, nonostante la
giovane età.
Questo era il giornalista, poi c'era l'uomo. Non passava inosservato
Cristina, soprattutto in un piccolo paese di provincia come Termini
Imerese - andava in giro con la bicicletta e portava baffi e pizzetto
che incorniciava con eleganti camice e papillon a giro collo. Era uno
di quei colleghi sfruttati che per poche lire in questi ultmi
trent’anni hanno pagato cara la scelta di restare liberi e onesti e non
hanno presentato il conto a nessuno. La stessa categoria li ha
dimenticati, con imbarazzo, quasi con riservatezza, per anni.
Era un giornalista "senza peli sulla lingua" Cosimo Cristina, uno
che quando succedeva un fatto, correva per giungere sul posto, vedere
con i propri occhi; vivere per raccontarla. Era un cronista curioso e
attento, in poco tempo molte denunce arrivarono al giornale, spesso
accompagnate da intimidazioni e minacce. Di lui Cappuzzo, codirettore
del mensile ricordava “Aveva un particolare fiuto della
notizia-sensazione, della notizia da prima pagina. Si era fatto tutto
da sé, con la sua ostinata capacità, con il suo grande intuito, ed
aveva un programma ben definito: sapeva quel che voleva. Per primo,
bisogna dargliene atto, in un periodo in cui era pericoloso nella
nostra provincia muoversi in un certo senso, affondare il bisturi su
certi temi tabù, affrontare certi argomenti spinosi, egli ebbe questo
coraggio. Il mestiere lo conosceva, con un istinto da sbalordire anche
i più preparati giornalisti”.
Scomparso il 3 maggio del 1960 Cosimo Cristina venne ritrovato
cadavere due giorni dopo, nonostante amici, carabinieri e famigliari lo
avessero cercato senza sosta per 48 ore. Le indagini furono
approssimative e subirono depistaggi e rallentamenti. Il suo delitto
rimase impunito e archiviato come “suicidio”. Nel 1966 il funzionario
di polizia Angelo Mangano cercò di riaprire le indagini, riesumò il
cadavere per l’autopsia che però non diede più i risultati utili per
tenere aperto il caso. Mangano in provincia di Palermo aveva condotto
inchieste che avevano portato all’arresto di Luciano Liggio e fatto
mettere in manette fra gli altri Santo Gaeta, considerato il boss di
Termini Imerese, Agostino Rubino, consigliere comunale sempre di
Termini, Vincenzo Sorce, Orazio Calà Lesina e Giuseppe Panzeca,
capomafia di Caccamo.
Il funzionario di polizia era convinto che ad uccidere Cristina
fossero state le cosche mafiose termitane, con l’assenso della famiglia
di Caccamo, che tenevano sotto controllo la zona. Il movente
dell’omicidio sarebbe da ricercare in un articolo che scavava dietro i
misteri dell’uccisione del pregiudicato Agostino Tripi, denunciato per
un attentato dinamitardo ad una gioielleria poi eliminato dalla mafia
perché “parlava troppo”. Cristina aveva fatto un’intervista alla
moglie. Quella testimonianza, ultima di tante altre storie del
palermitano firmata Co. Cri. come era solito fare, una firma che era la
piccola e significativa ricompensa di quel lavoro fatto più per
passione che non per profitto. Quell’ultima intervista potrebbe aver
segnato la sua condanna a morte.
Ancora oggi, nonostante il caso sia stato chiuso - come dimostra il lavoro d’inchiesta di Luciano Mirone nel suo libro “gli Insabbiati”
permangono molti dubbi e interrogativi. Il tempo cancella le prove
troppo in fretta ma non la memoria. Cosimo Cristina è stato ricordato
il 21 marzo a Napoli nella giornata nazionale in memoria delle vittime
delle mafie e - dopo molti anni di silenzi - il 3 maggio scorso dai
colleghi giornalisti (Fnsi, Ordine e Unci), nella seconda giornata in
memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo, a Napoli.
A lui sono dedicati blog e articoli che ne ricordano l’impegno e il
contributo giornalistico.
E di lui rimane a siglare l'impegno di ieri quel Co. Cri.;oggi iniziali di una memoria che è nuovo impegno per un giornalismo locale d'inchiesta "senza peli sulla lingua".
Termini Imerese (Pa), 06.05.2009 |
di no. fe.Di: Da: www.liberainformazione.org